Tentato omicidio: escluso il dolo eventuale, ammesso l'alternativo




Cassazione sez. II 28.03.2012 n. 14034

La massima: “il tentato omicidio è incompatibile con il dolo eventuale, occorrendo quantomeno il dolo alternativo”.

Tizio e Caio, insieme ad altri due complici, si introducevano in un convento di frati minori francescani muniti di pesanti bastoni con i quali aggredivano quattro religiosi  rispettivamente di anni 86, 81, 76 e 49.
Dopo averli malmenati, li legavano ed imbavagliavano impossessandosi di carte di credito e di una somma imprecisata di denaro.
In particolare, Tizio si accaniva contro uno dei frati lasciandolo agonizzante in una pozza di sangue.


In primo grado, benché solo Tizio avesse brutalmente ferito il frate quasi fino alla morte, tutti gli imputati venivano condannati per tentato omicidio.
Relativamente a quest’ultimo delitto si rivolgono le più accese censure da parte dei ricorrenti in appello.
La Corte distrettuale, premesso che l’azione dell’autore materiale (Tizio) doveva ritenersi sorretta da dolo intenzionale per le caratteristiche della condotta lesiva, ha ritenuto responsabili anche gli altri correi in forza dell’accettazione, da parte loro, del rischio che l’azione potesse trasmodare in evento letale.
Sulla scorta di tali considerazioni la Corte d’Appello ha attribuito il tentativo di omicidio a titolo di dolo eventuale, ai concorrenti morali del fatto.

Chiamata a pronunciarsi con la sentenza de qua, la Suprema Corte ha statuito che costituisce regola iuris oramai consolidata l’incompatibilità del tentativo con il dolo eventuale che, come noto, ricorre qualora il soggetto agente, ponendo in essere un condotta diretta ad altri scopi, si rappresenti ed accetti la concreta possibilità che dalla sua condotta scaturisca una conseguenza diversa da quella dovuta (Cass. sez. I 31.03.2010).
Se il tentativo ex art. 56 c.p. si connota per la direzione univoca degli atti volti a commettere un delitto, risulta di palmare evidenza come lo stesso possa essere sorretto soltanto dal dolo diretto, non ammettendosi una diversa prospettazione dell’esito della propria condotta.
Tale assunto, afferma la Corte, non subisce eccezioni neppure nell’ipotesi in cui il delitto tentato venga attribuito al concorrente morale poiché questi deve rappresentarsi la idoneità ed inequivocità degli atti propri dell’autore materiale del reato.

In tal modo, i Giudici di legittimità ribaltano un precedente (e risalente) dictum in cui si  affermava la responsabilità del concorrente morale del delitto di tentato omicidio anche solo se la sua condotta fosse stata sorretta dal dolo eventuale (Cass. sez. I 12.06.1991 n. 187758).
Invero, la Cassazione individua nell’atteggiamento psicologico degli autori non già (come fa la Corte di Appello) il dolo eventuale, bensì il dolo alternativo.
Quest’ultimo ricorre quando il soggetto agente prevede e vuole, in maniera equivalente, l’uno o l’altro degli eventi (morte o grave ferimento), quale conseguenza della sua condotta cosciente e volontaria di guisa che esso ha natura di dolo diretto ed è compatibile con il tentativo.

Tutti i concorrenti, accettando la possibilità della morte del frate, ne hanno preventivamente approvato la verificazione, il che costituisce l’esplicitazione chiara di una rappresentazione in positivo della figura del dolo alternativo che, appunto, sussiste in quanto l’agente si rappresenta, accettandoli, l’uno o l’altro degli eventi eziologicamente ricollegabili alla sua condotta.

La Corte conclude quindi per la piena compatibilità tra tentativo penalmente punibile e dolo alternativo, poiché l’equivalenza tra gli eventi, che l’agente si rappresenta eziologicamente collegabili alla sua condotta ovvero a quella altrui alla quale concorre, comporta che il dolo alternativo è da configurarsi quale dolo diretto, poiché ciascuno degli eventi è ugualmente voluto dal reo.
    

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