Rapina impropria e tentativo


Cassazione S. U. 19.04 – 12.09 2012 n. 34952



La massima: “è configurabile il tentativo di rapina e non il concorso tra il tentativo di furto con un reato di violenza o minaccia, nel caso in cui l’agente, dopo aver compiuto atti idonei diretti in modo non equivoco alla sottrazione della cosa altrui, non portati a compimento per fatti indipendenti dalla sua volontà, adoperi violenza o minaccia per procurare a sé o altri l’impunità”.

In giurisprudenza, in merito alla compatibilità tra tentativo e rapina impropria prima della pronuncia in commento, non vi era unità di vedute.
Secondo un primo orientamento maggioritario (ex plurimis Cassazione sez. II 13.01.2011 n. 6479) il tentativo è configurabile nell’ipotesi in cui l’agente, dopo aver compiuto atti idonei all’impossessamento della res altrui, non portati a compimento per cause indipendenti dalla propria volontà, adoperi violenza o minaccia per procurarsi l’impunità.

L’orientamento minoritario (ex plurimis Cassazione sez. V 14.12.2009 n. 16952) invece, ritiene che il tentativo possa configurarsi soltanto se si realizza la sottrazione della cosa. Laddove la res non sia sottratta invece, si profila il tentativo di furto in concorso con altro reato alla persona, quale minaccia o percosse.
L’individuazione della rapina impropria anche nell’ipotesi di mancata sottrazione, determinerebbe un’applicazione analogica in malam partem aggravando il carico sanzionatorio.


Tale ultimo orientamento valorizza il dato letterale sostenendo che il capoverso dell’art. 628 c.p. impone che la sottrazione della cosa preceda la violenza o la minaccia e pertanto se l’agente è sorpreso prima di aver sottratto il bene risponderà soltanto di tentato furto e non di tentata rapina.

Le Sezioni Unite aderiscono all’orientamento maggioritario, concludendo per la configurabilità.
Invero, ritengono infondata la critica (mossa da chi esclude la compatibilità) di trascurare il dato testuale dell’art. 628 comma II c.p. secondo cui si richiede esplicitamente che la violenza e la minaccia siano utilizzate dopo la sottrazione.

La norma, si osserva nella pronuncia in commento, con l’espressione “immediatamente dopo”  intendeva stabilire il nesso temporale che deve intercorrere tra i segmenti dell’azione criminosa compressa, ma non anche definire le caratteristiche consumate o tentate di tali segmenti.

Il ruolo fondamentale è assunto dalla necessità di un collegamento logico-temporale tra le condotta di aggressione al patrimonio e di aggressione alla persona, attraverso una successione di immediatezza.
E’ sufficiente, e necessario, che tra le due diverse attività concernenti il patrimonio e la persona intercorra un arco temporale tale da non interrompere il nesso di contestualità dell’azione complessiva posto in essere.

La Corte di Cassazione ravvisa in tale nesso il punto centrale della norma incriminatrice di cui al comma II dell’art. 628 c.p. che giustifica l’equiparazione del trattamento sanzionatorio tra la rapina impropria e la propria, a nulla rilevando se le condotte si siano arrestate alla fase del tentativo ovvero siano consumate.

Da una lettura più attenta della norma, si ricava che il dato testuale stesso suggerisce, ponendo in alternativa la finalità di assicurarsi il consenso e quella di garantirsi l’impunità, che tale ultima intenzione può sussistere anche senza previa sottrazione.
La violenza e la minaccia non sono considerate in maniera autonoma e distinta nella norma in esame, ma punite se poste in essere per assicurarsi l’impunità.
In altre parole, il legislatore ha voluto che fossero punite non come tali ma con riguardo all’attività criminosa per la quale il reo voleva assicurarsi l’impunità. Attività che comprende tutte le fasi in cui essa si manifesta e quindi dal tentativo di impossessamento all’impossessamento finale del bene.

In considerazione della successione invertita delle due condotte di aggressione al patrimonio ed alla persona che caratterizza la rapina impropria, il legislatore al fine di mantenere equiparate le due fattispecie criminose del I e del II comma di cui all’art. 628 c.p., non richiede l’impossessamento vero e proprio del bene da parte dell’agente, reputando sufficiente per la consumazione la sola sottrazione, configurando il tentativo nella misura dei soli atti idonei diretti in modo non equivoco alla sottrazione della cosa altrui.

Pertanto, se si tenta un furto senza realizzare la sottrazione della cosa e si commette immediatamente dopo un’azione violenta contro una persona al fine di assicurare l’impunità per il tentativo di furto, l’azione violenta resta strumentale a quella già realizzata e, pertanto, assorbita.
Nel momento in cui si ammette la configurabilità del tentativo con la sottrazione, è evidente che la successiva violenza per procurarsi l’impunità non è avulsa dal modello di cui all’art. 628 comma II c.p. ma ad esso si coniuga, dando vita alla figura della tentata rapina impropria











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