Diritto d'autore


Cassazione sez. III 02.12.2011 – 23.02.2012

Tizio, gestore di un pub, trasmette la partita di calcio Inter-Juventus nel proprio locale.
Invero, egli è titolare di un contratto di tipo domestico anziché della tipologia che ne consente la trasmissione in locali pubblici, circoli ed associazioni.
Viene quindi tratto a giudizio per rispondere del reato di cui all’art. 171ter comma I lett. e) legge n. 633 del1941 in materia di diritto d’autore.

In I grado, Tizio viene assolto perché il fatto non sussiste.
Il giudice di prime cura ritiene che l’imputato si sia limitato a ricevere il segnale della smart card legittimamente posseduta ed a trasmetterlo a mezzo del decoder e del televisore in suo uso.

Egli non avrebbe posto in essere alcuna attività di ri-trasmissione o diffusione del servizio criptato (le uniche sanzionate dalla norma incriminatrice) ma si sarebbe limitato esclusivamente alla mera ricezione/trasmissione del segnale, attività che seppur non consentita dal contratto di distribuzione non assume rilievo penale.


Inoltre si è ritenuto insussistente l’elemento soggettivo del dolo specifico quale finalità di lucro perseguita dal soggetto non essendosi provato che Tizio abbia tratto o abbia voluto trarre un guadagno apprezzabile dalla sua condotta.

A seguito di appello del procuratore generale e della parte civile, la Corte territoriale riforma la sentenza ritenendo che la norma in questione in realtà sanzioni la condotta di chi, in assenza di accordo con il legittimo distributore, ritrasmette o diffonde con qualsiasi mezzo un servizio criptato ricevuto per mezzo di apparati idonei alla trasmissione ad accesso condizionato.
Tizio, a giudizio della Corte, avrebbe consentito agli avventori del pub di vedere la trasmissione in realtà riservata ad un uso domestico.
L’elemento soggettivo è stato ritenuto in re ipsa nella materialità della condotta.
A seguito di ricorso, la Cassazione statuisce in tal modo.
Pacifico che il reato di cui all’art. 171 ter comma I lett. e) legge n. 633 del 1941 è integrato dalla condotta di chi, titolare di una tessera per la ricezione di programmi ad uso privato, diffonda in pubblico gli stessi in assenza di previo accordo con il distributore. In tal senso Cass. sez. III 24.11.2010 – 28.12.2010 n. 45567.

Corretta è altresì la qualificazione della Corte di appello secondo cui integra la condotta di diffusione il consentire indebitamente, perché non permesso sul piano contrattuale, ad un numero indeterminato di soggetti all’interno dell’esercizio pubblico la fruizione di uno spettacolo televisivo protetto dal diritto d’autore.

La nozione di diffusione è tuttavia più ampia di quella di trasmissione.
Quest’ultima non ricorre nell’ipotesi in cui il soggetto associa a se stesso altre persone nella fruizione dello spettacolo televisivo, indipendentemente dalla liceità o meno sul piano contrattuale e quindi civilistico.
Tale circostanza si verifica quando manca il fine di lucro.

Nel caso di specie, la diffusione dell’incontro Inter-Juventus non era funzionale a far confluire nel locale un maggior numero di persone perché l’incontro non era stato pubblicizzato e, nel momento in cui la condotta è stata accertata, all’interno del pub vi erano poche persone.
E, pertanto, nessun elemento emergeva in ordine al fine di lucro la cui assenza escludeva la rilevanza penale della condotta.

La Suprema Corte annulla quindi senza rinvio la sentenza perché il fatto non costituisce reato.





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