Custodia cautelare e 416 bis c.p.


Corte Costituzionale 25-29 marzo 2013 n. 57


Con riguardo agli artt. 3, 13 e 27 della Costituzione, il Tribunale di Lecce ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 275 comma III c.p.p. nella parte in cui prevede che, laddove sussistano gravi indizi di colpevolezza in ordine ai delitti commessi avvalendosi delle condizioni di cui all’art. 416 bis c.p., è applicata la custodia in carcere salvo che siano acquisiti  elementi da cui non emerga l’assenza di esigenze cautelari.

La norma viene censurata perché non contempla l’ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici da cui emerga che le esigenze cautelari possano essere soddisfatte anche con misure diverse, meno afflittive rispetto alla custodia in carcere che rappresenta pur sempre l’extrema ratio.

Innanzitutto, la Consulta richiama precedenti decisioni.
Come ha avuto modo di chiarire (sentenza n. 139 del 2010) le presunzioni assolute, soprattutto quando limitano un diritto fondamentale della persona, violano il principio di eguaglianza se sono arbitrarie ed irrazionali.
L’irragionevolezza della presunzione assoluta si coglie tutte le volte in cui sia possibile formulare ipotesi di accadimenti reali contrari alla generalizzazione posta alla base della presunzione stessa (sentenza n. 41 del 1999).


L’irragionevolezza della presunzione assoluta di cui al comma III dell’art. 275 c.p.p. è stata fino ad ora riscontrata in merito:
1)      ai delitti a sfondo sessuale (n. 265 del 2010);
2)      all’omicidio volontario (n. 164 del 2011);
3)      all’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti (n. 231 del 2011);
4)      all’associazione finalizzata a commettere i delitti di cui agli artt. 473 e 474 c.p. (n. 110 del 2012);
5)      in materia di favoreggiamento all’immigrazione (n. 331 del 2011).
La presunzione assoluta sulla quale si base il regime cautelare speciale non risponde, con riguardo ai delitti commessi avvalendosi delle condizioni di cui all’art.  416 bis c.p.,  a dati di esperienza generalizzati. Potendo agevolmente formularsi ipotesi contrarie.

Poiché l’autore di tali delitti può essere estraneo ad associazioni di tipo mafioso, ciò esclude che si sia sempre in presenza di un reato che implichi l’appartenenza al sodalizio criminoso.

Il solo impiego del metodo mafioso, ovvero la finalizzazione della condotta ad agevolare l’associazione, non è equiparabile, ai fini dell’applicazione della misura cautelare in questione, alla partecipazione all’associazione.

Inoltre, osserva ancora la Corte, mentre le precedenti pronunce di illegittimità del comma III dell’art. 275 c.p.p. hanno investito singole fattispecie di reato, la disciplina censurata si riferisce a qualsiasi delitto connotato dalla finalità di agevolazione mafiosa.
Oltre ad evidenziare le ricadute sul criterio della proporzionalità delle misure, il numero di reati base suscettibili di rientrare nell’ambito di applicazione del regime cautelare speciale è talmente elevato che conferma l’insussistenza di una congrua base statistica a sostegno della presunzione censurata.

Sulla scia di tali considerazioni, risulta evidente che la posizione dell’autore dei delitti commessi avvalendosi del cosiddetto “metodo mafioso” o al fine di agevolare le attività di associazioni di tipo mafioso di cui non faccia parte non è equiparabile a quella dell’associato o del concorrente nella fattispecie associativa per la quale la presunzione assoluta risponde a dati di esperienza generalizzati.

La Consulta ritiene quindi le norme censurate in contrasto con l’art. 3 Cost. perché equipara i procedimenti relativi ai delitti in questione a quelli relativi al delitto di cui all’art. 416 bis c.p.;
in contrasto con l’art. 13 comma I Cost. quale referente del regime ordinario delle misure cautelari privative della libertà personale; nonché con l’art. 27 Cost. perché attribuisce alla coercizione processuale tratti funzionali tipici della pena.

I principi costituzionali richiamati sono vulnerati non già dalla previsione in sé, bensì dal carattere assoluto, laddove una presunzione relativa non eccede i limiti di compatibilità costituzionale.
  
Pertanto, sulla scorta delle considerazioni effettuate, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 275 comma III c.p.p. nella parte in cui prevede che, laddove sussistano gravi indizi di colpevolezza in ordine ai delitti commessi avvalendosi delle condizioni di cui all’art. 416 bis c.p. o al fine di agevolare le attività delle associazioni previste dallo stesso articolo del codice penale, è applicata la custodia in carcere salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari, non fa salva, altresì, l’ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure.

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