La confisca per equivalente ex artt. 322 ter c.p. e 19 d.lgs. n. 231 del 2001


SOMMARIO: 1. La questione; 2. Il d. lgs. 231/2001; 3. La confisca per equivalente 4. l’art. 19 del d. lgs. 231/2001;

1. La questione.
Il Comune di Y affida alla società X l’esecuzione di lavori di ristrutturazione e riqualificazione di alcune strade.           
Ritenendo che nella contabilizzazione dei costi la società X abbia fatturato un importo maggiore rispetto ai costi effettivamente sostenuti, il Gip presso il Tribunale di Savona in data 16.08.2012 ai sensi dell’art. 54 del D. Lgs 231/2001 dispone il sequestro preventivo per equivalente dei beni immobili e mobili, nonché di denaro o altre utilità per un importo pari ad € 420.000,00 nei confronti della società X in liquidazione, sottoposta a procedimento per illecito amministrativo di cui agli artt. 24 comma I e 25 comma II D. lgs. 231/01.

La difesa della società X presenta riesame ex art. 324 c.p.p. ritenendo che il Gip abbia errato nel disporre il sequestro in funzione di un’eventuale confisca della somma indicata, poiché l’ablazione di somme di denaro equivalenti al profitto del reato, ai sensi dell’art. 19 comma I e II D. lgs. 231/01 non è ammissibile per la parte del profitto che può essere restituita al danneggiato.
Il Tribunale del Riesame, accoglie la richiesta di annullando il provvedimento impugnato e disponendo la restituzione di quanto sequestrato.
                                                                                                        
2. Il D. lgs. 231/2001
Societas delinquere non potest.
Tale brocardo, ha sempre espresso l’esclusione dal paradigma sanzionatorio penale delle persone giuridiche[1].
Ed invero, alla persona giuridica poteva al più applicarsi una sanzione di natura amministrativa, reputando il pensiero classico esclusiva destinataria della sanzione punitiva la persona fisica.
 Sarebbe un finto processo se il pubblico ministero perseguisse fantasmi intellettuali, diavoli ovvero santi, cose inanimate, bestie, persone giuridiche, enti collettivi, cadaveri. Bisogna che l'imputazione evochi una persona fisica (qualunque animale umano vivo sopra o sotto i 14 anni inclusi gli abnormi) esista o no in carne ed ossa. Stiamo parlando dei presupposti mancando i quali il processo sarebbe pura apparenza."[2].
        Il dibattito sulla capacità penale delle persone giuridiche era tuttavia presente in Italia già dagli anni ’20 del XX secolo[3].
        Negli anni ’60 e ’70 iniziano ad illustrarsi le ragioni che giustificano l’introduzione di una responsabilità penale degli Enti[4].
E’ stato opportunamente osservato che quando un reato è commesso all’interno di un’organizzazione al fine di perseguire scopi magari di per sé legittimi, si modifica, rectius si abbassa, la capacità di resistenza agli impulsi criminosi rispetto alla stessa vicenda criminale che riguarda il singolo in una dimensione individuale, avulsa dal contesto del gruppo[5]. L’appartenenza al gruppo depotenzia le inibizioni e fomenta l’aggressività, in conseguenza della distribuzione dei ruoli, manca la percezione unitaria dell’eventuale disvalore, anche penale, del risultato ultimo della cooperazione[6].
Il principio costituzionale della responsabilità penale personale, di cui all’art. 27 Cost. risiede nell’esigenza del fatto proprio colpevole per l’attribuzione di una sanzione penale ed il criterio dell’immedesimazione organica nella sua più ampia accezione consente di considerare il fatto sia del dirigente che del dipendente come proprio della persona giuridica.
Il finalismo rieducativo della pena di cui al comma III dell’art. 27 Cost. può intendersi, nei confronti dell’ente, come una ridefinizione dell’assetto organizzativo secondo i canoni di legalità che consentano, in radice, il superamento del rischio reato[7].
        Saldamente acquisito quindi il principio secondo cui societas delinquere potest, il Parlamento ha emanato la legge delega n. 300 del 29 settembre 2000 da cui poi è scaturito il D. Lgs. dell’8 giugno 2001 n. 231 intitolato “disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica”.
        Il sistema creato contiene sia una parte di carattere sostanziale, basata su di una parte generale dedicata ai principi generali ed una parte speciale con l’elenco tassativo dei reati presupposto che fondano l’illecito.
E’ prevista poi una parte di carattere processuale (artt. 34-82) che ricalca la struttura codicistica.
Il comma II dell’art. 1 individua quali destinatari delle norme gli enti forniti di personalità giuridica, nonché le società e le associazioni anche prive di personalità.
al comma III invece si escludono lo Stato, gli enti pubblici territoriali nonché quelli che svolgono funzioni di rilievo costituzionale.
L’illecito dell’ente si configura in presenza di un reato commesso nell’interesse o a vantaggio dello stesso da una persona fisica avente i requisiti per impegnare la responsabilità dell’ente nel caso in cui  ricopra la stessa una posizione apicale e risultando esente da responsabilità se la persona fisica abbia agito nel proprio esclusivo interesse (art. 5 lett. a).
Parimenti, la responsabilità dell’ente si configura nel caso in cui il reato sia commesso da soggetti sottoposti alla direzione o vigilanza di chi riveste funzioni di rappresentanza, amministrazione o direzione dell’ente.
Ai sensi dell’art. 6, se un soggetto in posizione apicale commette il reato, l’ente non risponde laddove provi che gli organi preposti abbiano adottato tutte le misure adatte a prevenire l’illecito.
L’art. 8 fa salva la responsabilità dell’ente anche qualora l’autore del reato non sia identificato o non sia punibile ovvero il reato si sia estinto per causa diversa dall’amnistia.
        E’ da rilevare come manchi una specifica disposizione che consenta l’esercizio dell’azione civile nel processo penale che accerti la responsabilità amministrativa dell’ente.
Sul punto, con sentenza n. 2251 del 22.01.2011 la VI sezione della Cassazione ha ritenuto di escludere la costituzione di parte civile nel procedimento a carico dell’ente evidenziando come la mancata disciplina dell’istituto nel decreto 231/2001 sia frutto di una consapevole scelta.
L’art. 39 comma I prevede poi che l’ente partecipi al procedimento attraverso il proprio rappresentante legale. Nel caso in cui quest’ultimo sia imputato del reato da cui dipende l’illecito si realizza un conflitto di interessi tale da rendere necessaria la nomina di un rappresentante per il processo.
  
3) La confisca per equivalente
La speciale figura di confisca disciplinata dall’art. 322 ter codice penale, è stata introdotta nell’ordinamento dall’art. 3 comma I, legge 29 settembre 2000 n. 300 che ha dato esecuzione ad una serie di convenzioni internazionali volte a contrastare fatti di corruzione e frodi comunitarie.
In una prospettiva politico-criminale il legislatore, con la confisca ex art. 322 ter c.p. ha evidenziato la volontà di attribuire a misure sanzionatorie di tipo patrimoniale un ruolo di contrasto della criminalità economica nonché organizzata.
La norma de qua, in particolare ha inasprito il regime generale della confisca di cui all’art. 240 c.p. sotto un duplice profilo: 1) obbligatorietà dell’ablazione anche del profitto illecito; 2) la possibilità di aggredire in via surrogatoria beni di valore equipollente a quelli collegati al reato nell’ipotesi in cui questi ultimi non siano apprensibili.
Il primo ed il secondo comma dell’art. 322 ter c.p. disciplinano la confisca per equivalente, riferendosi nel primo caso al prezzo e nel secondo comma al profitto del reato.
In tale ipotesi, l’intervento ablativo si sposta dai beni specificamente derivanti dal reato al loro valore economico.
In altre parole, la confisca per equivalente consente l’ablazione di beni, nella disponibilità del reo, che non hanno alcun collegamento (sia esso diretto o indiretto) con il reato (Cass. sez. VI 19.01.2005 n. 7250).
            La ratio dell’istituto è quella di evitare gli inconvenienti derivanti dalla difficoltà di individuare il bene che rappresenta il profitto iniziale, aggredendo altri beni che valutati economicamente siano pari al beneficio derivante dal reato.
L’obiettivo, dunque, consiste nella volontà di privare il reo di qualunque beneficio economico frutto del reato.
In merito al concetto di prezzo del reato, l’opinione tradizionale (Manzini, Trattato III, 391) lo ravvisa nei beni, siano essi denaro o altre utilità materiali dati o promessi per determinare o istigare il delinquente al reato.
Il prezzo quindi non coincide con il semplice corrispettivo dell’illecito ma rappresenta bensì un fattore che incide sulla motivazione a commetterlo ovvero farlo cessare, si pensi al prezzo del riscatto ex art. 630 c.p. (sequestro a scopo di estorsione).
La nozione di profitto si risolve nel vantaggio economico indirettamente tratto dal reato, compresi i beni di scambio. Esso è stato definito come la conseguenza economica immediata derivante dal contegno delittuoso (Cass. sez. V, 10 febbraio 2000, C.E.D. Cass. n. 216455).
            I presupposti applicativi della confisca per equivalente si ravvisano nella sentenza di condanna e di patteggiamento ex art. 444 c.p.p. Si è escluso (Cass. sez. VI, 19.02.2008 n. 27043) che la confisca possa essere ordinata in caso di dichiarazione di estinzione del reato per intervenuta prescrizione.
L’applicazione della confisca di valore, rectius per equivalente, si snoda attraverso quattro passaggi: 1) individuazione dei beni costituenti il prezzo ed il profitto del reato di cui sia impossibile l’ablazione; 2) la stima del valore economico degli stessi; 3) identificazione nel patrimonio del reo di beni aventi corrispondente valore; 4) acquisizione di tali beni al patrimonio dello Stato.
            La necessità di una previa individuazione dei beni profitto o prezzo del reato, pone l’esigenza di una rigorosa delimitazione di quanto costituisce diretta profanazione del reato il quale deve quindi essere certo nella sua obiettiva esistenza ed entità.
L’individuazione a monte del profitto illecito, assicura il supporto materiale su cui poter commisurare il controvalore confiscabile, ogni qualvolta risulti impraticabile l’espropriazione diretta.
Ulteriore presupposto della confisca per equivalente risiede nell’impossibilità di procedere alla confisca diretta. Ossia deve esserci una oggettiva impossibilità di individuare o requisire direttamente le somme di denaro o i beni costituenti il prezzo o il profitto del reato per i quali sia stata pronunciata condanna (Cass. sez. II 01.07.2008 n. 31339).
            Talvolta, tuttavia, l’utilità ricavata può essere priva di consistenza: immateriale.
Si pensi al vantaggio derivante dall’aggiudicazione di un importante appalto in materia di corruzione. In tali ipotesi, proprio la confisca per equivalente in quanto diretta non contro cose pertinenzialmente legate al reato ma su beni di pari valore, è in grado di rimediare alle difficoltà di intaccare quei vantaggi che non sono materialmente affluiti al reo e non hanno avuto riflessi tangibili sulla sua situazione patrimoniale.
            La confisca per equivalente può ricadere su qualsiasi bene nella disponibilità del reo, sino alla concorrenza del valore confiscabile. Pertanto, non necessariamente essa deve riguardare somme di denaro.
Questioni interpretative sono sorte in merito all’ultima parte del comma I di cui all’art. 322 ter c.p.p. che circoscrive la confisca a quei beni di cui il reo ha la disponibilità per un valore corrispondente al prezzo, omettendo qualsiasi riferimento al profitto.
Un arresto giurisprudenziale a Sezioni Unite (Cass. S. U. 25.10.2005 n. 41936) ha statuito che non si è trattato di una mera svista del legislatore bensì di una precisa scelta derivante dall’ampliamento della platea dei reati considerati e dall’esigenza di differenziare il regime della confisca in ragione delle differenti fattispecie considerate.
In due ulteriori pronunce sempre a Sezioni Unite (Cass. S. U. 25.06.2009 n. 38691; Cass. S. U. VI 17.03.2010 n. 12819), si è evidenziato come le nozioni di prezzo e profitto del reato siano distinte in relazione al trattamento fattone dall’art. 240 c.p. e deve quindi ritenersi che esse siano presupposte in tale differente valenza tecnica nell’ambito dell’art. 322 ter c.p.
            La confisca per equivalente può quindi essere considerata una sanzione penale anomala finalizzata alla compensazione di arricchimenti illeciti.
La sanzione in commento, travalicherebbe tuttavia la funzione sua propria qualora fosse consentito applicarla in assenza di un effettivo arricchimento del reo.
La questione si è posta relativamente alle somme di denaro solo promesse ma non erogate al Pubblico Ufficiale. Sul punto, la giurisprudenza ha ritenuto assoggettabile a confisca l’utilità materiale corrisposta al corrotto ovvero quella promessa se la dazione non ha luogo (Cass. sez. VI 14.06.2007 n. 30966). Il medesimo indirizzo ha statuito altresì che laddove vi sia stata effettiva dazione essa segnerebbe il limite del valore confiscabile poiché corrispondente al prezzo del reato, a nulla rilevando la maggiore entità di quanto promesso.
In tali ipotesi, è agevole notare come la pronuncia delimiti verso il basso il valore da assoggettare a confisca in tutte le circostanze in cui il corruttore non abbia per qualsiasi ragione ottenuto i frutti attesi dal pactum sceleris.
La Cassazione ha addirittura sancito che la confisca per equivalente sia possibile anche nell’ipotesi in cui il corruttore non abbia conseguito alcun profitto (Cass. sez. VI 04.06.2010 n. 21027).
Altra questione degna di menzione in materia di confisca per equivalente riguarda la possibilità di applicare, in caso di illecito plurisoggettivo il provvedimento nei confronti di uno qualsiasi dei concorrenti.
La giurisprudenza ha ritenuto di poter traslare in questo ambito il principio solidaristico che caratterizza la disciplina del concorso di persone nel reato, derivandone l’imputazione dell’intera azione delittuosa e del conseguente effetto in capo a ciascun concorrente (Cass. sez. V 16.01.2004 n. 15445).
            Il riconoscimento del principio solidaristico tuttavia ha sollevato obiezioni poiché si è rilevata la matrice civilistica della solidarietà passiva di cui all’art. 2055 c.c. e la sua estraneità all’ambito della responsabilità penale che, ai sensi dell’art. 27 Cost. deve aver carattere personale.
Successivamente, il principio solidaristico nell’ambito della giurisprudenza non ha trovato indirizzi univoci.
Secondo la pronuncia più gravosa (Cass. sez. VI 28.01.2009 n. 5401) il sequestro preventivo, finalizzato alla confisca per equivalente ai sensi dell’art. 322 ter c.p. può interessare ciascuno dei concorrenti anche per l’intera entità del prezzo o profitto del reato, anche laddove le somme illecite siano state incamerate in tutto o in parte da altri coindagati.
Agli antipodi invece si pone un diverso indirizzo (Cass. sez. VI 23.06.2006 n. 25877) a tenore del quale in caso di concorso in un reato per il quale è consentita la confisca ex art. 322 ter c.p. essa non può eccedere per ciascuno di essi la quota o il profitto a lui attribuibile.
            Una interpretazione intermedia pone invece Cassazione Sezioni Unite 27.03.2008 n. 26654, a tenore del quale il sequestro preventivo può estendersi anche oltre la porzione attribuibile al singolo concorrente purché sia impossibile una sua individuazione soggettiva e comunque non si estenda oltre il quantum complessivo del prezzo o del profitto illecito.
Occorre altresì evidenziare come la giurisprudenza (Cass. sez. II 21.05.2008 n. 25910) e la Consulta (ordinanza n. 97/2009) abbiano ritenuto applicabile alla confisca per equivalente il principio di irretroattività in considerazione della natura sanzionatoria dell’istituto. Argomentando sulla scorta che la mancanza di pericolosità dei beni oggetto della confisca per equivalente, unitamente all’assenza di un rapporto di pertinenzialità tra il reato ed i beni su cui la stessa ricade conferisce alla stessa confisca una connotazione afflittiva e sanzionatoria la quale impedisce l’applicabilità a tale misura patrimoniale del principio di cui all’art. 200 c.p. secondo cui le misure di sicurezza sono regolate dalla legge in vigore al tempo della loro applicazione e quindi possono essere retroattive, dovendosi invece fare riferimento al disposto di cui al comma II dell’art. 25 Cost. nonché all’art. 7 CEDU che sanciscono il principio di irretroattività.
In merito all’appartenenza a persona estranea al reato quale causa di preclusione alla confisca occorre evidenziare come la stessa presupponga la non appartenenza dei beni ai terzi estranei al reato.
In merito alla nozione di appartenenza è evidente che una concezione troppo ristretta porterebbe alla conclusione di escludere la confisca ogni volta che sul bene coesistono diritti anche nei confronti della persona estranea al reato.
Sul punto, un recente arresto della giurisprudenza (Cass. sez. II 14.03.2007 n. 10838) ha sancito che la confisca di beni di proprietà del condannato, oggetto anche di diritti di terzi, non è inconciliabile con questi ultimi che quindi possono continuare ad essere esercitati anche dopo la misura ablativa.

4) L’art. 19 D. Lgs 231/2001
            La sezione IV del capo III del citato decreto disciplina le misure cautelari reali: sequestro preventivo ai fini della confisca (art. 53) e il sequestro conservativo (art. 54).
E’ sufficiente che il fatto attribuito all’indagato in relazione alle circostanze indicate dal pubblico ministero sia riconducibile ad una delle fattispecie criminose di cui agli artt. 24 e ss. del decreto, affinché possa delinearsi il fumus boni iuris quale presupposto del sequestro preventivo[8].
            La confisca di cui all’art. 19 pone quale premessa della misura, e quindi del sequestro, l’appartenenza del bene confiscabile a persona non estranea al reato e la salvaguardia dei diritti del danneggiato dal reato[9].
Ai sensi dell’art. 19, la confisca di somme di denaro di valore equivalente al profitto del reato non è ammissibile per la parte che può restituirsi al danneggiato.
Invero, la norma attributiva del potere di confisca in danno degli enti sottoposti a procedimento, non si limita a fare salvi i diritti delle persone estranee al reato, ma riconosce una sorta di privilegio a vantaggio del danneggiato dall’illecito, le cui pretese civilistiche si impongono su quelle ablative dello Stato, dimostrando di aver recepito l’esigenza di tutelare in via immediata quanti hanno sofferto un danno in dipendenza dal reato e, indirettamente, ogni altro soggetto portatore di interessi nei confronti dell’ente e della sua solidità finanziaria[10].
            L’impossibilità di espropriare quanto deve essere restituito al danneggiato, esplica i suoi effetti anche in sede cautelare, nell’ambito delle richieste di sequestro preventivo di cui all’art. 53 D. Lgs. 231/2001.
In tal senso, la Suprema Corte[11] ha statuito che: “la misura cautelare reale non possa avere una maggiore capacita di ablazione dei beni costituenti il profitto, ma il suo perimetro di azione sia segnato dagli stessi limiti riconosciuti dalla legge al provvedimento definitivo. Il rinvio operato dall’art. 53 all’art. 19, ricomprende anche il limite costituito dal profitto che può essere restituito”.
 Superfluo evidenziare come, il limite fissato dalla clausola riguardi anche le ipotesi di confisca di valore attesa la funzione surrogatoria della stessa, posto che il ristoro del danneggiato è prioritario rispetto alla confisca, in ragione della tutela degli interessi dei danneggiati[12].
La previsione di cui all’art. 19, rappresenta quindi un limite che si giustifica alla luce della preferenza accordata alle pretese civilistiche del danneggiato rispetto alla pretesa statuale di acquisire il profitto del reato.  


  

           



[1] A. Alessandri, Diritto penale e attività economiche, Bologna 2010 pag. 191 e ss.
[2] F. Cordero, Procedura penale, Milano 2006.

[3] A. De Marsico, La difesa sociale contro le nuove forme di delitto collettivo, in Studi di diritto penale, Napoli
[4] F. Bricola, Il costo del principio “societas delinquere non potest” nell’attuale dimensione del fenomeno societario, in Riv. It. dir. proc. pen. , 1970
[5] G. De Vero, La responsabilità penale delle persone giuridiche, in Trattato di diritto penale, Milano, Giuffrè
[6] G. Ruggiero, Contributo allo studio della capacità penale, Torino 2007
[7]  M. Riverditi, La responsabilità degli enti: un crocevia tra repressione e specialprevenzione, Jovene editore
[8] Cass. sez. II 21.12.2006, in Foro it., 2007, II, c. 197
[9] Cass. sez. VI 17.06.2010, in Cass. pen., 2011 pag. 2323
[10] M. Amisano, Tesi, voce Confisca per equivalente, in Dig. Disc. Pen., Agg. Vol. IV, tomo I, Utet, 2008 pag. 213
[11] Cass. sez. VI, 17.06.2010, in Cass. pen., 2011 pag. 2330
[12] D. Pulitanò, Diritto penale, III ed. Giappichelli, 2009 pag. 710

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