Traffico di influenze illecite e misure cautelari
Cassazione sezione VI
28.11.2014 n. 1933
Tizio viene
sottoposto a custodia cautelare in carcere per il reato di cui all’art. 319 c.p.
perché, quale consigliere politico del Ministro dell’economia e componente
delle Commissioni parlamentari Bilancio e Finanze, avrebbe ricevuto da Caio la
somma di € 50.000,00 per influire sulla stanziamento di finanziamenti statali
in favore del Consorzio di cui quest’ultimo era presidente per la realizzazione
di infrastrutture.
Il Tribunale
del Riesame, conferma la misura disposta dal Gip, ritenendo che Tizio
accettando la promessa di denaro, avesse asservito la pubblica funzione ricoperta
all’interesse particolare del Consorzio violando i doveri di indipendenza ed
imparzialità, reputando quindi corretta la contestazione del reato di
corruzione propria ex art. 319 c.p.
Avverso l’ordinanza
propone ricorso la difesa dell’indagato sostenendo l’erronea qualificazione
giuridica del fatto ritenendo che l’indagato non abbia compiuto atti contrari
ai doveri di ufficio poiché egli non era titolare di alcun potere concernente
il finanziamento dei lavori e che lo stesso fosse legittimo atteso che i
governi successivi hanno continuato a finanziare l’opera.
Pertanto,
continua la difesa, la strumentalizzazione del rapporto di fiducia con il
Ministro e le pressioni esercitate sui funzionari andavano ricondotte nell’alveo
del delitto di cui all’art. 346 bis c.p.
rubricato traffico di influenze illecite di guisa da inibire la custodia in carcere
giusto il disposto di cui all’art. 280 c.p.p.
La
Cassazione accoglie il ricorso.
Innanzitutto,
chiarisce come il delitto di corruzione sia un reato proprio con la peculiarità
che, ad integrare il fatto tipico non è sufficiente che l’autore abbia la
qualifica di pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio, ma occorre
altresì che egli sfrutti tale funzione connessa all’ufficio per ricevere denaro
o altre utilità non dovuti.
In altre
parole, è necessario che l’atto oggetto del mercimonio rientri nella competenza
dell’Ufficio ricoperto dal soggetto corrotto di guisa che non ricorre il
delitto de quo se l’intervento del P.U.
in esecuzione dell’accordo illecito non comporta l’attivazione di poteri
istituzionali propri del suo ufficio o non sia in qualche maniera a questo
ricollegabile ma sia invece destinato ad incidere nella sfera di competenza di pubblici
ufficiali terzi rispetto ai quali il soggetto agente è privo di potere
funzionale.
La Corte
rileva come la carica di consigliere
politico non possa rientrare nel novero di cui all’art. 357 c.p. non
essendo prevista da alcuna norma giuridica.
A tale considerazione
è da aggiungersi che Tizio sollecitando i funzionari ministeriali affinché
provvedessero al finanziamento del Consorzio, non esercitava alcuna funzione
connessa al suo ruolo di consigliere politico del Ministro ma coglieva l’occasione
per avvicinare i funzionari a ciò preposti.
Parimenti,
alcun rilievo assume nel caso di interesse la qualifica di componente della
Commissione parlamentare Bilancio e Finanze poiché non vi è stata alcuna
strumentalizzazione della funzione.
Il denaro
percepito da Tizio non è quindi servito per retribuire il compimento di un atto
contrario ai doveri di ufficio bensì a compensare la mediazione svolta dall’indagato
verso i funzionari ministeriali su cui aveva influenza.
Orbene, si
deve tener conto della legge n. 190/2012 ha introdotto all’art. 346 bis c.p.
il delitto di traffico di influenze illecite che individua il presupposto del
reato nello sfruttamento delle relazioni esistenti con il pubblico
ufficiale.
I fatti
commessi prima dell’entrata in vigore della legge 190/2012 che ricadevano
pacificamente nel novero dell’art. 346 c.p. (millantato credito) devono ora ascriversi
nella fattispecie di cui al 346 bis c.p.
che, comminando una pena inferiore, ha realizzato una successione di leggi penali ex
art. 2 comma IV c.p.
L’art. 346 bis c.p., prevedendo una reclusione da 1
a 3 anni impedisce, in caso di affermazione della penale responsabilità, l’applicazione
di qualsiasi misura coercitiva ai sensi dell’art. 280 c.p.p.
Pertanto,
attesa la riqualificazione del fatto nel reato previsto dall’art. 346 bis comma I c.p. la Corte ha disposto l’immediata
liberazione di Tizio non essendo consentita la detenzione cautelare.
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