Integra il reato di falso mentire sul voto dell’esame per entrare nell’esercito
Cassazione sez. V 18.04.2012 n. 15048
La massima: “il reato di falso in atto pubblico ex art. 483 c.p. si integra anche se
la norma, nel caso di specie d.P.R. 445/2000 art. 46 lett. m), limita la responsabilità del dichiarante al
titolo di studio ed agli esami sostenuti essendo applicabile l’interpretazione analogica
quando la stessa è volta ad evitare che fattispecie ad essa soggette si
sottraggano alla sua disciplina”.
La vicenda trae
spunto dalla falsa attestazione nella domanda di arruolamento nell’esercito da
parte dell’imputato, di aver conseguito il diploma con un voto più alto
rispetto a quello reale. Intervenuta sentenza ex art. 129 c.p.p. perché il fatto non sussiste, a seguito di
impugnazione si è pronunciata la Cassazione.
Preliminarmente,
osserva la Corte che l’art. 483 c.p. costituisce
una norma penale in bianco la quale richiede,
per definire il suo contenuto precettivo, il collegamento ad altra e diversa
norma in grado di conferire attitudine probatoria all’atto autocertificato.
Nell’ipotesi di
interesse, essa è ravvisata nell’art. 46 lett. m) d.P.R. 445/2000 che attribuisce efficacia probatoria al titolo di
studio ed agli esami sostenuti.
Il Supremo
Collegio non condivide l’interpretazione restrittiva fornita dal Gip al testo
normativo, laddove si è ritenuto che la locuzione titolo di studio, esami sostenuti di cui alla lettera m) art. 46 d.P.R.
445/2000 si riferisca soltanto al superamento dell’esame divenendo
giuridicamente irrilevante il giudizio riportato poiché non richiesto dalla
norma.
Se così fosse,
continua ancora il Gip, si realizzerebbe un’interpretazione
estensiva in malam partem non
consentita.
Invero, ritiene
la Corte di Cassazione, l’interpretazione estensiva è lecita (rectius doverosa) quando, mediante un
uso corretto della logica e dell’argomentazione giuridica, è ragionevole
ritenere che il precetto legislativo abbia un contenuto più ampio di quello che
emerge dalle espressioni letterali.
Non si viola l’art. 14 delle disposizioni sulla legge in generale (in base al
quale è vietata l’applicazione analogica di una norma al di fuori della sua
area di operatività) poiché non si amplia il contenuto della disposizione ma,
al contrario, si impedisce che fattispecie ad essa soggette si sottraggano alla
sua disciplina: si colma una lacuna che altrimenti determinerebbe un vuoto non
consentito.
Ragionando
diversamente, continua la Corte, si giungerebbe al paradosso di ritenere lecita
l’uccisione di una donna solo perché l’art. 575 c.p. punisce chi cagiona la
morte di un uomo.
Nel caso de quo, l’interpretazione estensiva si
rende necessaria poiché, se fosse sufficiente la mera indicazione degli esami
sostenuti, il dichiarante potrebbe includervi anche quelli non superati ovvero,
addirittura, riportare gli stessi con un giudizio positivo.
Pertanto, poiché
nella procedura amministrativa indicata assume rilievo pregnante non solo il
titolo di studio ma anche l’esito dell’esame sostenuto ai fini della valutazione
comparativa tra i candidati, se ne
ricava l’obbligo di attestare il vero e la conseguente applicabilità della
sanzione penale in caso di ottemperanza.
La Corte
conclude con l’annullamento della sentenza impugnata rinviando al Tribunale di
competenza.
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