Misure cautelari: divieto di avvicinarsi alla persona offesa
Cassazione sezione V 16 gennaio – 11 aprile 2012 n. 13568
La
massima: “nell’ipotesi di atti persecutori ex art. 612 bis c.p., la misura cautelare del
divieto di avvicinamento di cui all’art. 283 ter c.p.p. ben può concretarsi nell’individuare
la stessa persona offesa e non i luoghi abitualmente da essa frequentati come
riferimento centrale del divieto di avvicinamento”
Nei confronti di Tizio veniva applicata la
misura cautelare del divieto di
avvicinamento alla persona offesa per il reato di atti persecutori.
Terminata la relazione sentimentale, lo
stesso poneva in essere reiterate condotte tali da generare un perdurante stato
di ansia e determinare un fondato timore per l’incolumità della persona offesa.
La difesa impugnava la misura cautelare
adducendo la genericità delle prescrizioni imposte con l’ordinanza cautelare
consistenti nel divieto di avvicinarsi a tutti i luoghi frequentati dalla
persona offesa e nell’obbligo di tenersi a distanza non inferiore a metri cento
in caso di incontro occasionale.
La Suprema Corte, rileva come le modalità
commissive tipiche del delitto di atti persecutori (introdotto con d.l. n. 11/2009
– convertito in legge 38/2009) comprendano quali manifestazioni tipiche il
costante pedinamento della vittima, anche nei luoghi in cui la stessa si trovi
occasionalmente, nonché si traduca in atteggiamenti minacciosi ed intimidatori
anche in assenza di contatto fisico diretto con la persona offesa e pur
tuttavia dalla stessa percepibili.
Il divieto di avvicinamento non soltanto ai
luoghi frequentati ma addirittura alla persona offesa esprime una precisa
scelta normativa volta a tutelare la libertà di circolazione del soggetto
passivo. La norma è volta a garantire la possibilità per la persona offesa di
svolgere la propria vita sociale senza il timore di subire aggressioni alla
propria incolumità proprio in quelle ipotesi in cui la condotta persecutoria
dell’autore non sia legata a particolari ambiti.
La Corte quindi ritiene che la misura
cautelare di cui all’art. 282 ter c.p.p. si atteggi in maniera
differente in base alle esigenze del caso concreto.
Laddove la condotta rivesta i caratteri
della persistente ed invasiva ricerca di contatto con la vittima ovunque ella
si trovi, è possibile individuare la stessa persona offesa e non i luoghi dalla
stessa frequentati come oggetto del divieto di avvicinamento.
La sola indicazione dei luoghi vietati
consentirebbe al molestatore di agire impunemente al di fuori di essi limitando
la libertà di movimento della persona offesa ai luoghi indicati e potendo la
stessa esporsi ad una situazione di pericolo al di fuori degli stessi.
Sulla scorta di tali considerazioni quindi,
la Cassazione ha rigettato il ricorso di Tizio.
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