Confisca per equivalente
La speciale figura di confisca disciplinata dall’art. 322 ter codice penale è stata introdotta
nell’ordinamento dall’art. 3 comma I, legge 29 settembre 2000 n. 300 che ha
dato esecuzione ad una serie di convenzioni internazionali volte a contrastare
fatti di corruzione e frodi comunitarie.
In una prospettiva politico-criminale il legislatore, con la confisca ex art. 322 ter c.p. ha evidenziato la volontà di attribuire a misure
sanzionatorie di tipo patrimoniale un ruolo di contrasto della criminalità
economica nonché organizzata.
La norma de qua, in particolare
ha inasprito il regime generale della confisca di cui all’art. 240 c.p. sotto
un duplice profilo: 1) obbligatorietà dell’ablazione anche del profitto
illecito; 2) la possibilità di aggredire in via surrogatoria beni di valore
equipollente a quelli collegati al reato nell’ipotesi in cui questi ultimi non
siano apprensibili.
Il primo ed il secondo comma dell’art. 322 ter c.p. disciplinano la confisca per equivalente, riferendosi nel
primo caso al prezzo e nel secondo comma al profitto del reato.
In tale ipotesi, l’intervento ablativo si sposta dai beni specificamente
derivanti dal reato al loro valore economico.
In altre parole, la confisca per equivalente consente l’ablazione di
beni, nella disponibilità del reo, che non hanno alcun collegamento (sia esso
diretto o indiretto) con il reato (Cass. sez. VI 19.01.2005 n. 7250).
La ratio dell’istituto è quella
di evitare gli inconvenienti derivanti dalla difficoltà di individuare il bene
che rappresenta il profitto iniziale, aggredendo altri beni che valutati
economicamente siano pari al beneficio derivante dal reato.
L’obiettivo, dunque, consiste nella volontà di privare il reo di
qualunque beneficio economico frutto del reato.
In merito al concetto di prezzo del reato, l’opinione tradizionale
(Manzini, Trattato III, 391) lo
ravvisa nei beni, siano essi denaro o altre utilità materiali dati o promessi
per determinare o istigare il delinquente al reato.
Il prezzo quindi non coincide con il semplice corrispettivo dell’illecito
ma rappresenta bensì un fattore che incide sulla motivazione a commetterlo
ovvero farlo cessare, si pensi al prezzo del riscatto ex art. 630 c.p. (sequestro a scopo di estorsione).
La nozione di profitto si risolve nel vantaggio economico indirettamente
tratto dal reato, compresi i beni di scambio. Esso è stato definito come la
conseguenza economica immediata derivante dal contegno delittuoso (Cass. sez.
V, 10 febbraio 2000, C .E.D.
Cass. n. 216455).
I presupposti applicativi della confisca per equivalente si ravvisano
nella sentenza di condanna e di patteggiamento ex art. 444 c.p.p. Si è escluso (Cass. sez. VI, 19.02.2008 n.
27043) che la confisca possa essere ordinata in caso di dichiarazione di
estinzione del reato per intervenuta prescrizione.
L’applicazione della confisca di valore, rectius per equivalente, si snoda attraverso quattro passaggi: 1)
individuazione dei beni costituenti il prezzo ed il profitto del reato di cui
sia impossibile l’ablazione; 2) la
stima del valore economico degli stessi; 3) identificazione nel patrimonio del
reo di beni aventi corrispondente valore; 4) acquisizione di tali beni al
patrimonio dello Stato.
La necessità di una
previa individuazione dei beni profitto o prezzo del reato, pone l’esigenza di
una rigorosa delimitazione di quanto costituisce diretta profanazione del reato
il quale deve quindi essere certo nella sua obiettiva esistenza ed entità.
L’individuazione a monte del profitto illecito, assicura il supporto
materiale su cui poter commisurare il controvalore confiscabile, ogni qualvolta
risulti impraticabile l’espropriazione diretta.
Ulteriore presupposto della confisca per equivalente risiede
nell’impossibilità di procedere alla confisca diretta. Ossia deve esserci una
oggettiva impossibilità di individuare o requisire direttamente le somme di
denaro o i beni costituenti il prezzo o il profitto del reato per i quali sia
stata pronunciata condanna (Cass. sez. II 01.07.2008 n. 31339).
Talvolta, tuttavia, l’utilità ricavata può essere priva di consistenza:
immateriale.
Si pensi al vantaggio derivante dall’aggiudicazione di un importante
appalto in materia di corruzione. In tali ipotesi, proprio la confisca per
equivalente in quanto diretta non contro cose pertinenzialmente legate al reato
ma su beni di pari valore, è in grado di rimediare alle difficoltà di intaccare
quei vantaggi che non sono materialmente affluiti al reo e non hanno avuto
riflessi tangibili sulla sua situazione patrimoniale.
La confisca per equivalente può ricadere su qualsiasi bene nella
disponibilità del reo, sino alla concorrenza del valore confiscabile. Pertanto,
non necessariamente essa deve riguardare somme di denaro.
Questioni interpretative sono sorte in merito all’ultima parte del comma
I di cui all’art. 322 ter c.p.p. che
circoscrive la confisca a quei beni di cui il reo ha la disponibilità per un
valore corrispondente al prezzo, omettendo qualsiasi riferimento al profitto.
Un arresto giurisprudenziale a Sezioni Unite (Cass. S. U. 25.10.2005 n.
41936) ha statuito che non si è trattato di una mera svista del legislatore
bensì di una precisa scelta derivante dall’ampliamento della platea dei reati
considerati e dall’esigenza di differenziare il regime della confisca in
ragione delle differenti fattispecie considerate.
In due ulteriori pronunce sempre a Sezioni Unite (Cass. S. U. 25.06.2009
n. 38691; Cass. S. U. VI 17.03.2010 n. 12819), si è evidenziato come le nozioni
di prezzo e profitto del reato siano distinte in relazione al trattamento
fattone dall’art. 240 c.p. e deve quindi ritenersi che esse siano presupposte
in tale differente valenza tecnica nell’ambito dell’art. 322 ter c.p.
La confisca per equivalente può quindi essere considerata una sanzione
penale anomala finalizzata alla compensazione di arricchimenti illeciti.
La sanzione in commento, travalicherebbe tuttavia la funzione sua propria
qualora fosse consentito applicarla in assenza di un effettivo arricchimento
del reo.
La questione si è posta relativamente alle somme di denaro solo promesse
ma non erogate al Pubblico Ufficiale. Sul punto, la giurisprudenza ha ritenuto
assoggettabile a confisca l’utilità materiale corrisposta al corrotto ovvero
quella promessa se la dazione non ha luogo (Cass. sez. VI 14.06.2007 n. 30966).
Il medesimo indirizzo ha statuito altresì che laddove vi sia stata effettiva
dazione essa segnerebbe il limite del valore confiscabile poiché corrispondente
al prezzo del reato, a nulla rilevando la maggiore entità di quanto promesso.
In tali ipotesi, è agevole notare come la pronuncia delimiti verso il
basso il valore da assoggettare a confisca in tutte le circostanze in cui il
corruttore non abbia per qualsiasi ragione ottenuto i frutti attesi dal pactum sceleris.
La Cassazione ha addirittura sancito che la confisca per equivalente sia
possibile anche nell’ipotesi in cui il corruttore non abbia conseguito alcun
profitto (Cass. sez. VI 04.06.2010 n. 21027).
Altra questione degna di menzione in materia di confisca per equivalente
riguarda la possibilità di applicare, in caso di illecito plurisoggettivo il
provvedimento nei confronti di uno qualsiasi dei concorrenti.
La giurisprudenza ha ritenuto di poter traslare in questo ambito il
principio solidaristico che caratterizza la disciplina del concorso di persone
nel reato, derivandone l’imputazione dell’intera azione delittuosa e del
conseguente effetto in capo a ciascun concorrente (Cass. sez. V 16.01.2004 n.
15445).
Il riconoscimento del principio solidaristico tuttavia ha sollevato
obiezioni poiché si è rilevata la matrice civilistica della solidarietà passiva
di cui all’art. 2055 c.c. e la sua estraneità all’ambito della responsabilità
penale che, ai sensi dell’art. 27 Cost. deve aver carattere personale.
Successivamente, il principio solidaristico nell’ambito della
giurisprudenza non ha trovato indirizzi univoci.
Secondo la pronuncia più gravosa (Cass. sez. VI 28.01.2009 n. 5401) il
sequestro preventivo, finalizzato alla confisca per equivalente ai sensi
dell’art. 322 ter c.p. può
interessare ciascuno dei concorrenti anche per l’intera entità del prezzo o
profitto del reato, anche laddove le somme illecite siano state incamerate in
tutto o in parte da altri coindagati.
Agli antipodi invece si pone un diverso indirizzo (Cass. sez. VI
23.06.2006 n. 25877) a tenore del quale in caso di concorso in un reato per il
quale è consentita la confisca ex art.
322 ter c.p. essa non può eccedere
per ciascuno di essi la quota o il profitto a lui attribuibile.
Una interpretazione intermedia pone invece Cassazione Sezioni Unite
27.03.2008 n. 26654, a
tenore del quale il sequestro preventivo può estendersi anche oltre la porzione
attribuibile al singolo concorrente purché sia impossibile una sua
individuazione soggettiva e comunque non si estenda oltre il quantum complessivo del prezzo o del
profitto illecito.
Occorre altresì evidenziare come la giurisprudenza (Cass. sez. II
21.05.2008 n. 25910) e la Consulta (ordinanza n. 97/2009) abbiano ritenuto
applicabile alla confisca per equivalente il principio di irretroattività in
considerazione della natura sanzionatoria dell’istituto. Argomentando sulla
scorta che la mancanza di pericolosità dei beni oggetto della confisca per
equivalente, unitamente all’assenza di un rapporto di pertinenzialità tra il
reato ed i beni su cui la stessa ricade conferisce alla stessa confisca una
connotazione afflittiva e sanzionatoria la quale impedisce l’applicabilità a
tale misura patrimoniale del principio di cui all’art. 200 c.p. secondo cui le
misure di sicurezza sono regolate dalla legge in vigore al tempo della loro applicazione
e quindi possono essere retroattive, dovendosi invece fare riferimento al
disposto di cui al comma II dell’art. 25 Cost. nonché all’art. 7 CEDU che
sanciscono il principio di irretroattività.
In merito all’appartenenza a persona estranea al reato quale causa di
preclusione alla confisca occorre evidenziare come la stessa presupponga la non
appartenenza dei beni ai terzi estranei al reato.
In merito alla nozione di appartenenza è evidente che una concezione
troppo ristretta porterebbe alla conclusione di escludere la confisca ogni
volta che sul bene coesistono diritti anche nei confronti della persona
estranea al reato.
Sul punto, un recente arresto della giurisprudenza (Cass. sez. II
14.03.2007 n. 10838) ha sancito che la confisca di beni di proprietà del
condannato, oggetto anche di diritti di terzi, non è inconciliabile con questi
ultimi che quindi possono continuare ad essere esercitati anche dopo la misura
ablativa.
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