Omosessualità e lesione della reputazione


  
Cassazione sez. V 10.04 – 24.07 2012 n. 30369


Tizio, dopo anni di matrimonio con Caia, intraprende una relazione omosessuale con Sempronio, suo dipendente.
Caia, venutane a conoscenza, chiede la separazione con addebito.

Il giornale locale riporta la notizia e Tizio, sentendosi leso nel suo diritto alla riservatezza in merito ai rapporti personali, propone querela per violazione degli artt. 595 e 57 c.p. nei confronti dell’autore dell’articolo nonché verso il direttore del quotidiano per omesso controllo.

In udienza preliminare il Gup pronunciando sentenza di non luogo a procedere, esclude la rilevanza della condotta ritenendo che dal tenore dell’articolo non sia possibile individuare la persona offesa, ed inoltre che la condotta sia scriminata dalla sussistenza dell’esimente del diritto di cronaca.

Avverso tale decisione Tizio propone ricorso per Cassazione.
 
Posto che i limiti del diritto di cronaca si ravvisano nelle seguenti condizioni: a) la notizia pubblicata deve essere vera; b) deve sussistere un pubblico interesse alla conoscenza dei fatti; c) l’informazione deve essere fornita nei limiti dell’obiettività, la Suprema Corte ha innanzitutto richiamato un suo precedente, anche se risalente nel tempo.

Con decisione n. 06507 del 17.11.1978 la Cassazione aveva sancito che ai fini dell’individuazione dell’offeso non occorre che l’offensore ne indichi espressamente il nome, ma è sufficiente che l’offeso possa venire individuato per esclusione in via deduttiva, tra una categoria di persone, a nulla rilevando che in concreto l’offeso venga individuato da un ristretto gruppo di persone: nella fattispecie, alcuni vecchi conoscenti di Tizio lo avevano riconosciuto nell’articolo in questione. 

Lo scritto non ha altresì rispettato uno dei parametri fondamentali del diritto di cronaca: il rilievo sociale della notizia.
Riportando scelte di vita privata del querelante e riferendosi ad una persona ben individuata o facilmente individuabile, piuttosto che suscitare il pubblico interesse l’articolo si traduce in una lesione della privacy della persona offesa (tutelata dall’art. 167 D. Lgs 196/2003) e, mediante essa, della sua reputazione.

Sulla scorta di tali motivazioni, la Corte ha annullato con rinvio la sentenza del Gup.

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