Molestie e Facebook
Cassazione sez.
I 11.07–12.09 2014 n. 37596
Tizio, caporedattore del giornale X, viene
tratto a giudizio per il reato di cui all’art. 660 c.p. perché per petulanza o
altro biasimevole motivo molestava la redattrice Caia con apprezzamenti volgari
a sfondo sessuale tramite internet sulla sua pagina Facebook in uso alla
giornalista.
Assolto in primo grado, Tizio è stato
condannato in appello avendo la Corte ritenuto che il reato doveva ritenersi
integrato mediante i messaggi inviati sotto pseudonimo tramite internet sulla
pagina Facebook della vittima, costituente una comunity aperta, sul profilo
della persona offesa accessibile a chiunque, la quale per sottrarsi alle
molestie aveva dovuto bloccare l’accesso a Tizio, ma ciò solo dopo che i
messaggi erano apparsi sulla sua pagina.
Propone ricorso per Cassazione l’imputato
evidenziando come il messaggio sia stato inviato nella c.d. chat privata e non
già sulla bacheca pubblica.
La I sezione della Corte di Cassazione non
risolve la questione relativa alla configurabilità nel caso di specie delle
molestie ex art. 660 c.p. poiché non è chiaro se i messaggi
siano stati inviati nella chat privata ovvero sulla bacheca, e non potendo
rinviare essendo il reato contravvenzionale prescritto. Tuttavia, fissa il
seguente principio di diritto: “la piattaforma sociale Facebook è una
sorta di piazza immateriale che consente un numero indeterminato di accessi e
di visioni: essa dunque, al pari di ogni social network accessibile da parte di
chiunque utilizzi la rete, costituisce un vero e proprio luogo aperto al pubblico
in cui può essere commesso il reato di molestie di cui all’art. 660 c.p."
Art. 660 c.p. Molestia o disturbo alle
persone.
Chiunque, in un luogo pubblico o aperto al
pubblico, ovvero col mezzo del telefono, per petulanza o per altro biasimevole
motivo, reca a taluno molestia o disturbo è punito con l'arresto fino a sei
mesi o con l'ammenda fino a euro 516.
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