Cassazione sezione VI 23.06-07.10 2015 n. 40320
Tizio, direttore di un’unità operativa di
cardiochiururgia ospedaliera è imputato per il delitto di maltrattamenti contro
familiari e conviventi ai sensi dell’art. 572 c.p. perché avrebbe posto in
essere iniziative discriminatorie tendenti al demansionamento di un proprio
sottoposto, dirigente medico, destinandolo ad una attività di consulenza in una
struttura diversa e meno importante delle precedenti, escludendolo dalla
funzione di primo chirurgo reperibile in vantaggio di colleghi con minore
anzianità di servizio compromettendo il mantenimento delle proprie capacità
operatorie.
All’udienza preliminare, il Gup pronuncia
sentenza di non luogo a procedere ex art.
425 c.p.p.
Il Pubblico Ministero propone ricorso per
Cassazione ai sensi dell’art. 428 c.p.p.
Il Supremo Collegio accoglie il ricorso ed
annulla con rinvio enunciando il seguente principio di diritto.
Con la pronuncia in commento, la Cassazione
delinea il rapporto intercorrente tra il fenomeno del c.d. mobbing ed il reato di maltrattamenti in famiglia di cui all’art.
572 c.p.
Invero, il mobbing viene definito come un comportamento vessatorio e discriminatorio
preordinato a mortificare e ad isolare il dipendente nell’ambiente di lavoro.
Orbene, tale condotta può integrare il
reato di maltrattamenti in famiglia soltanto nell’ipotesi in cui le pratiche
persecutorie e maltrattanti del datore di lavoro in danno del dipendente,
ovvero, in ambito di rapporti professionali, del superiore nei confronti del
sottoposto, presuppongano che il rapporto interpersonale sia caratterizzato dal
tratto della “parafamiliarità”.
Tale concetto consiste nella sottoposizione
di una persona all’autorità di un’altra in un contesto di prossimità
permanente, di abitudini di vita (anche lavorativa) proprie e comuni alle
comunità familiari, non ultimo per l’affidamento, la fiducia e le aspettative
del sottoposto rispetto all’azione di chi ha ed esercita su di lui l’autorità
con modalità tipiche del rapporto familiare, caratterizzate da ampia
discrezionalità ed informalità.
La situazione descritta può ricorrere anche
nel caso di rapporti di lavoro tra professionisti particolarmente qualificati.
Sulla scorta di tali argomentazioni, la
Corte ha accolto il ricorso annullando la sentenza di non luogo a procedere.
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