Maltrattamenti in famiglia ed abitualità
Cassazione, Sez. VI, ud. 7 dicembre 2021 (dep. 10 marzo
2022), n. 8333
Presidente
Costanzo – Relatore Di Stefano
Ritenuto in fatto
1.
Con la sentenza in epigrafe la Corte di Appello di Firenze, a seguito di
gravame interposto dall'imputato F.U. avverso la sentenza emessa in data 12
ottobre 2016 dal Giudice per l'Udienza preliminare del Tribunale di Prato, in
riforma della decisione ha assolto il predetto imputato dai reati di cui agli
artt. 81 cpv., 572, 582, 585 e 576 c.p., art. 61 c.p., nn. 2 e 4 (per aver
maltrattato, mediante più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, la
moglie P.M.L. e i propri figli minori C. ed P.E. , sottoponendoli a reiterate
vessazioni fisiche, psicologiche e morali), perché il fatto non sussiste.
2.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per Cassazione la parte civile P.M.L. ,
anche in qualità di esercente la potestà genitoriale sui figli minori E. e F.C.
, persone offese e costituite parte civile nel medesimo processo, deducendo a
mezzo del difensore:
2.1
Con il primo motivo, l'erronea applicazione della legge penale in merito agli
elementi costitutivi del reato previsto dall'art. 572 c.p., in quanto la Corte
ha ritenuto non sufficiente aì fini dell'integrazione del requisito essenziale
dell'abitualità della condotta i due giorni a settimana nei quali l'imputato
poteva frequentare i propri figli e durante i quali si ritenevano commesse le
condotte, definendo, invece, queste ultime come episodi isolati e sporadici.
Richiamandosi l'orientamento della giurisprudenza di legittimità (Sez. 3, n.
6724 del 22.11.2017, dep. 2018, rv. 272452 - 01), si ritiene che non sia
necessario che gli atti delittuosi siano posti in essere per un periodo
prolungato, piuttosto che vi sia ripetizione nel tempo tale da generare timore,
ovvero un clima di soggezione nelle persone offese.
2.2
Con il secondo motivo, mancanza di motivazione riguardo allo scostamento dalla
relazione del CTU sull'attendibilità dei minori e dalla sentenza di primo
grado, in quanto la Corte ha ribaltato le valutazioni svolte dal GIP, senza
tuttavia fornire una specifica motivazione sugli elementi dai quali ha desunto
l'erroneità della perizia psicologica del CTU.
Il
Procuratore generale con requisitoria scritta ha chiesto dichiararsi il ricorso
inammissibile.
L'imputato
si è difeso con memoria.
Ritenuto in diritto
Il
ricorso è inammissibile.
1.
Il primo motivo risulta manifestamente infondato.
Il
reato di cui all'art. 572 c.p. richiede, ai fini della configurabilità,
l"elemento dell'abitualità (Sez. 6, sent. n. 4636 del 28.02.1995 dep.
1995, rv. 201148-01). I fatti commissivì ed omissivi rilevano penalmente solo
attraverso la loro reiterazione nel tempo, allorché vi sia un numero minimo di
condotte collegate tra di loro per mezzo di un nesso di abitualità. È
necessario, dunque, che le condotte non siano meramente sporadiche, piuttosto
che siano la manifestazione di una persistente attività vessatoria, tale da
generare un regime di vita persecutorio ed umiliante.
Occorre
sottolineare che, anche in presenza di assenza di convivenza dei genitori, il
reato si integra nel caso di filiazione non occasionale, bensì frutto di una
relazione sentimentale non più attuale, dalla quale è sorta l'aspettativa di un
vincolo di solidarietà, differente dai doveri legati alla condivisa
genitorialità. Infatti, solo in caso di disgregazione effettiva dell'originario
nucleo familiare e, conseguentemente, di cessazione del rapporto di reciproca
assistenza morale ed effettiva, si esclude la configurabilità del reato.
Ciò
posto, nel caso di specie il F. , pur non convivendo con i minori, era
autorizzato a vederli due volte a settimana, per cui non manca l'elemento della
convivenza, ma si poneva, invece, la necessità di accertare se le condotte
contestate siano idonee o meno ad integrare il requisito dell'abitualità dei
maltrattamenti in famiglia. La Corte di Appello di Firenze, invero, ha
correttamente applicato l'art. 572 c.p. in quanto, a seguito
dell'individuazione delle condotte contestate, di cui solo tre ritenute provate
sulla base delle dichiarazioni di entrambi i minori, ha rilevato come si
trattasse di singoli episodi non reiterati, bensì isolati, dunque non idonei a
configurare il reato di maltrattamenti. Diversamente da quanto dedotto dalla
ricorrente, quindi, la Corte di appello ha applicato correttamente la norma
incriminatrice in riferimento ai fatti accertati.
2.
Il secondo motivo è manifestamente infondato.
Nell'ambito
delle prove scientifiche, il giudice di legittimità non ha il compito di
stabilire l'attendibilità delle acquisizioni ovvero se l'apprezzamento del
giudice di merito sia corretto, potendosi pronunciare solo sulla razionalità e
logicità dell'approccio di tale giudice. Quindi, non può valutare
differentemente gli esiti della prova scientifica, trattandosi di un
accertamento di fatto (per tutte, Sez. 1, sent. n. 58465 del 10.10.2018, rv.
276151-01).
Con
particolare riguardo al tema delle dichiarazioni rese da minori quali persone
offese, occorre considerare sia la coerenza di esse, sia tutte le altre
circostanze che potrebbero influire sull'attendibilità di tali soggetti.
Invero, si distinguono due accertamenti da effettuare nei confronti del minore,
da un lato, quello volto a verificare la sua capacità a testimoniare, per
comprendere se riesca a percepire o meno la realtà e riferire rispetto a
determinati accadimenti, dall'altro, la valutazione di attendibilità,
riguardante la veridicità di quanto dichiarato (Sez. 3, sent. n. 15207 del
26.11.2019, dep. 2020, rv. 278780-01).
La
Corte di Appello di Firenze ha adeguatamente motivato in merito allo
scostamento della propria valutazione da quella del CTU sull'attendibilità dei
minori e dalla sentenza di pimo grado, in quanto, partendo dall'illogicità
delle conclusioni della sentenza del (Ndr: testo originale non comprensibile)
ha analizzato le varie condotte con relative dichiarazioni rese dai minori,
individuando le ragioni indicative di una scarsa attendibilità -, in primis,
l'impeto di C. di arricchire con molti dettagli l'fatti, in secundis,
l'alterazione delle dichiarazioni dovuta alle interferenze della P. - e,
quindi, della impossibilità di giungere ad un giudizio di certezza sulle
condotte contestate.
Valutate
le ragioni della inammissibilità, la sanzione pecuniaria va determinata nella
misura di cui in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara
inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Sentenza
redatta con la collaborazione della Dott.ssa C.C. in tirocinio formativo ex
D.L. n. 69 del 2013, art. 73.
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